giovedì 31 marzo 2011

Genoa 2001_Video Per non dimenticare

Genoa Zona Rossa (2001)
Detour - La canaglia a Genova

Prima del G8 era logico ritenere che nulla di interessante sarebbe potuto accadere: la logica dell’appuntamento e la costruzione di una trappola militare, nonché il monopolio mediatico delle lobbies sinistre (tute bianche, social forum, cattolici, ambientalisti e rifondati) nella gestione della “protesta” ufficiale e concordata facevano pensare che nessun contenuto interessante avrebbe potuto trovare sfogo a Genova. In questa situazione qualcosa è invece accaduto: l’organizzazione spettacolare dei professionisti della contestazione concordata è stata rifiutata da migliaia di persone che hanno deciso di fare a modo loro e di contestare realmente il potere che si manifestava attraverso l’organizzazione dello spazio urbano e la massiccia presenza poliziesca, attaccando direttamente entrambe.

Se la lettura dei testi scelti e proposti restituisce in modo già esauriente (a partire dal testo di Montaldi sull’eredità genovese del ’60) lo scacco che è stato dato agli “opportunisti di sinistra” (magra consolazione, potrebbe dire più d’uno), ci sembra invece opportuno insistere subito sull’unico aspetto,f inora totalmente ignorato, carico di potenzialità costruttive: migliaia di persone si sono impadronite di interi quartieri di Genova (Foce, Marassi, San fruttuoso e parti di Albaro e Castelletto), liberando le vie dal dominio capitalista.

Il dibattito post-G8 nell’ambiente “antagonista” si è esaurito nel difendere lo spirito anarchico del cosiddetto black bloc dalla ridicola accusa di essere un esercito di infiltrati e poliziotti e nel legittimare moralmente l’azione diretta. Questa doppia operazione difensiva non ha permesso di rilanciare i contenuti delle giornate genovesi oltre la denuncia della feroce repressione poliziesca. Detto quanto sia poco interessante filosofeggiare non solo sulla moralità dell’atto distruttivo (su cui poche persone di buon senso hanno da ridire), ma anche sulla stucchevole distinzione tra l’incendio di un auto proletaria o di una borghese o il saccheggio di un megastore invece che di una piccola bottega (e qui le remore aumentano da parte di chi non vede nel capitalismo un sistema di relazioni sociali concrete così oppressivo da meritare un attacco senza mediazioni), vale invece la pena sottolineare il pericolo strategico e politico di un nichilismo che non sa superarsi. Gesto carico di significato e potenzialità quando compiuto da un casseur di periferia nel flusso della vita quotidiana come rifiuto per la vita di merda a cui è destinato, l’atto distruttivo diventa “spettacolo del rifiuto” - che già quarant’anni fa era stato identificato come una delle trappole più subdole tese dal recupero capitalista sulle forme di vita - quando viene proposto da un militante politico in occasione di un summit internazionale, circondato da telecamere e giornalisti.

Se il progetto radicale è quello di ritagliarsi uno spazio all’interno degli appuntamenti fissati dal dominio e gestiti dai contestatori da esso addomesticati per praticare l’azione diretta contro i “simboli” del capitalismo, non resta che riconoscere lo scacco e andare altrove, ricordando come già negli anni Sessanta, nell’Amsterdam dei Provos, le agenzie di viaggio fossero arrivate al punto di organizzare finte guerriglie urbane a cui far partecipare i turisti, e sottolineando che le vere forme contemporanee di sovversione vanno cercate nelle insurrezioni popolari che hanno scosso l’Albania pochi anni fa, e che perdurano in Cabilia e, in parte, in Argentina.

Se Seattle aveva avuto un valore per il carattere di novità che la protesta sociale aveva avuto dopo decenni di apatia totale, tutte le tappe seguenti dell’antiglobal tour avevano costituito un rapido e progressivo scadimento nella rappresentazione spettacolare della protesta. Nonostante in molti abbiano voluto fare di Genova una tappa simile a quelle di Praga, Nizza e Goteborg, semplicemente aumentata nella quantità dei suoi effetti (maggior numero di manifestanti, di vetrine distrutte e di botte della polizia), essa è stata invece ben altro, un salto di qualità. L’azione diretta sfugge alla trappola dell’estetica del nichilismo e si trasforma in occasione di costruzione di situazioni di rivolta e di libertà reali quando scavalca il muro della militanza per aprirsi alla partecipazione gioiosa di altri manifestanti, di abitanti, di passanti e di curiosi nella costruzione di spazi e di momenti di vita collettivi.

Questo è esattamente quanto è successo a Genova il venerdì 20 luglio (e non il giovedì né il sabato). I pochi black bloc che credono alla propria esistenza in quanto organizzazione e stabiliscono la relativa ortodossia militante si sono lamentati o se ne sono addirittura andati da Genova alla fine della giornata perché troppi cani sciolti non vestiti di nero hanno disertato la contestazione dei “simboli” del capitalismo. Questi perfetti progettisti di quel “rifiuto dello spettacolo” di cui lo spettacolo stesso fa richiesta non hanno capito che ciò che attrae le persone in una situazione di rivolta è una contestazione reale e immanente della vita quotidiana. A Genova l’azione devastatrice non è mai stata fine a se stessa ma parte integrante di un movimento di appropriazione e godimento dello spazio urbano da parte di migliaia di persone in un clima tutt’altro che violento e parossistico (e chi non c’era lo può verificare da molti resoconti e filmati).





Video Assalto alla Diaz (macelleria mesicana)

Le riprese di indymedia sull'irruzione della polizia alla scuola Diaz. Queste immagini sono state la prima testimonianza di denuncia delle violenze delle squadre di picchiatori che quella notte massacrarono di botte decine di persone all'interno dell'edifico.

Assalto alla Diaz-MAcelleria messicana






martedì 15 marzo 2011

SexWorkersBook-Fiere di essere puttane (2007)



[Free books for punx]
Maitresse Nikita e Thierry Schaffauser
Maitresse Nikita e Thierry Schaffauser
sono una prostituta e un prostituto
francesi: nel loro libro (corredato da
un'introduzione del 2009 di Pia Covre)
presenta ai propri lettori, i due autori
si propongono di fare luce sulla crucialità
della problematica della prostituzione
rispetto alla battaglia femminista,
generando un nuovo protagonista di
quest'ultima, il femminismo puttana.
Partendo dall'inscindibilità tra il successo
strategico dell'offensiva femminista
e il successo tattico della lotta allo stigma
nei confronti delle prostitute
(e alle conseguenti legislazioni
discriminatorie, diffuse largamente in tutto
l' “emancipato” mondo occidentale)
gli autori giungono a prospettare
la riappropriazione orgogliosa da parte
delle donne dell'insulto che tuttora più
frequentemente le sfregia (“puttana”)
e che costituisce l'emblematica
manifestazione della condanna
della loro sessualità e in ultima analisi
del loro diritto all'autodeterminazione.
In questo senso gli autori, che
coinvolgono nel loro manifesto
anche le figure (femminili o maschili),
liminari al mondo della prostituzione,
degli operatori della pornografia,
prendono le distanze dai filoni del
femminismo che, sia pur con le migliori
intenzioni, leggono la pratica della
prostituzione comeprodotto
culturale e sociale del Patriarcato.
E' piuttosto vero che questo ha
fortemente improntato a sé la
prostituzione stessa (la manifestazione
più immediatamente evidente di ciò è
lo scarso numero di prostituti), la quale
tuttavia sussiste autonomamente e ha
anzi un nucleo etico quintessenzialmente
femminista: l'autodeterminazione senza
limiti della donna (e riguardo la
problematica dell'autodeterminazione
si veda anche la proposta, avanzata
dagli autori, di liberalizzazione e
legittimazione etica delle droghe pesanti,
lucidamente riconosciuta quale unica via
per eliminare lo stigma sociale che
attanaglia i tossicodipendenti).



Eredi di movimenti storici degli
anni Settanta
come l'associazione Coyote
(Stati Uniti)
e il Collettivo delle prostitute
di Parigi, Maitresse Nikita e Thierry
Schaffauser sono implacabili
combattenti contro il grottesco immaginario,
di origine evangelica, della redenzione
delle prostitute, rivendicando anzi
chiaramente il carattere di minoranza
sessuale di queste ultime e incitandole
ad una decisiva svolta anti-patriarcale :
nella prospettiva della loro trasformazione in
creatrici e promotrici di sessualità femminista,
la quale interferisca esizialmente con i codici
di genere del Patriarcato.
Il libro contiene anche un informativo ed
allarmante panorama sulla repressione della
prostituzione in Europa, la quale, nel
prevalente e complice silenzio dei media e
dell'opinione pubblica, mutila le prostitute
dei fondamentali diritti civili: dalla vita
familiare alla custodia dei figli
(nella ridicola ottica secondo cui
sarebbe scandaloso che esse/i possano
seguire l'esempio “corruttore” della madre),
fino a pervenire alle inaccettabili
discriminazioni medico-sanitarie, alla
censura ed alla persecuzione.