sabato 18 ottobre 2008

Free Palestine









PALESTINE LIBERE
La storia di un conflitto millenario 
che si traduce in un genocidio pianificato

Filmografia:
16 VIDEO SULLA PALESTINA
1) PROMESSE (PROMISES)
regia: B. Z. Goldberg, Justine Shapiro, Carlos Bolado - USA/Palestina/Israele 2001, 100'
Come vivono i bambini palestinesi e quelli israeliani in una Gerusalemme carica di tensioni e divisa tra due comunità? Com'è il loro rapporto con "gli altri" e cosa li accomuna? Promesse ritrae il quotidiano di sette bambini e documenta il modo in cui il conflitto influenza la loro vita. Osservatori partecipi, i registi scoprono le vie di trasmissione di vecchi rancori, ma sono anche testimoni di inaspettate aperture, a volte persino di illuminazioni sbalorditive, con cui i ragazzi analizzano la propria condizione.

http://www.promisesproject.org/
http://www.cinemah.com/reporter/news/news20020918/

2) FRONTIERES OF DREAM AND FEARS (AHLAM AL-MANFA)
regia: Mai Masri - USA/Palestina 2001, 56'
v. o. con sottotitoli in italiano
Questa è la storia di Mona e Manar, due rifugiate palestinesi, i cui nonni furono costretti ad abbandonare la propria casa in Palestina nel 1948. Pur vivendo in campi diversi, uno, Chatila, a Beirut, governato dall'estrema marginalizzazione economica del Libano, l'altro, Dehieshe, a Betlemme, dall'oppressione militare ed economica israeliana, le due ragazzine riescono a comunicare nonostante le barriere che le separano. La loro amicizia, iniziata via e-mail, si consolida giorno dopo giorno e culmina in un incontro impregnato di emozione, avvenuto dietro il filo spinato che delimita il confine libano- israeliano, insieme ad amici e parenti.

http://www.cinemah.com/neardark/index.php3?idtit=852

3) SONG ON A NARROW PATH - STORIE DA GERUSALEMME
Regia di Akram Safadi - Co-produzione (per l'Italia Stefilm) 2001, 53'
Akram Safadi, palestinese di Gerusalemme, è fotografo e regista. A partire dagli anni 80 ha lavorato come free lance per diverse agenzie internazionali e le sue foto, scattate durante la lunga prima Intifada, hanno catturato e mostrato al mondo il dolore e la sofferenza della sua gente. Nel documentario Song on a Narrow Path, Safadi cerca ora di descrivere Gerusalemme attraverso le vite di tre suoi amici. Reem è un'artista che reclama il diritto ad esprimersi attraverso il canto; Ali, un nero palestinese, ha passato 17 anni nelle prigioni israeliane ma continua ad essere ossessionato dall'occupazione che, lui dice, ha ridotto la città ad un enorme carcere a cielo aperto; Farouq, discendente di una importante famiglia palestinese, rievoca la vita a Gerusalemme prima dell'occupazione. Tre storie per scoprire le costrizioni e le difficoltà quotidiane durante trent'anni di controllo militare israeliano. Le immagini dei protagonisti emergono dal liquido rosso come sangue della camera oscura mentre in sottofondo risuonano gli spari e le urla della nuova Intifada in corso.
"Il ritratto della mia città, come la vedo io, attraverso le vite di persone che mi sono vicine" (Akram Safadi).

http://www.torinofilmfest.org/ITA/dbonline.php?ID=44

4) PALESTINE VIDEO BLOB #2 - "CHI SONO I TERRORISTI ?!?"
Maggio 2002 - 33' circa

Immagini TV:
TG1, TG3, LA7, Sciuscià, Primo Piano, Frontiere, Al Jazeera.

Video:
Song of a narrow path, di Akram Safadi, Co-produzione (I), (B), (F), (D)
Il mio nome è Mohamed,
CRIC - Reggio Calabria, 1990
Al Nakba - Rassegna di una storia di massacri, Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico di Roma (documenti del 1971, 1976 e 1982), Lega Araba (1988) e Comitato di Solidarietà con l'Intifada - TMCrew Roma (2000/2001)
Promesse, regia di Goldberg, Shapiro e Bolado, USA 2000
Sawurna: Palestinesi del Libano, regia di Marco Carraro, Andrea Pichler, Susanna Schoenberg, Prod. Dropout Officina Milano, Ita 2000
Attacco all'America, Panorama/24ore.TV, 2001
9-11, Independent Media Center New York, 2001
Uprising (Rivolta), TV Ungherese, Regia di Alajos Chrudinak, 1988.
Sharon, l'accusato, regia di Fergal Keane, GB (BBC) 2001
Fino all'ultima kefiah, di Fulvio Grimaldi, Ita 2002
Vita, terra e libertà per il popolo palestinese, Forum Palestina, Ita 2002

Film:
Oltre le sbarre, regia di Uri Barbash, Isr. 1984
La battaglia di Algeri, di Gillo Pontecorvo, Italia 1966


5) L'AQUILONE /AL NAKBA
Si tratta di due video realizzati dal Coordinamento di Solidarieta' con l'Intifada
Il video intitolato "L'aquilone" è stato girato ad agosto del 2001 nei Territori Occupati e descrive il progetto Gassan Khanefani, una rete di asili nido e scuole materne realizzata in Cisgiordania e Gaza, a partire già dal 1984, dall'Unione dei Comitati delle Donne palestinesi. Prima dell'avvio dell'ultima, devastante offensiva israeliana le strutture autogestite per i bambini in età prescolare erano 87 e già molte tra queste rischiavano di chiudere senza l'apporto della solidarietà internazionale. Così, attraverso questo video, il Coordinamento di Solidarietà con l'Intifada lanciava una campagna di adozione a distanza degli asili Gassan Khanefani e di sostegno alla formazione del corpo insegnante.
"Al Nakba - Rassegna di una storia di massacri" è una raccolta di video che utilizza un'importante antologia storica (1967-1988) curata da Ansano Giannarelli dell'Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico di Roma, completata da immagini più recenti che giungono fino all'esplosione dell'ultima insurrezione, la cosiddetta Intifada di Al Aqsa o Seconda Intifada.
Nella raccolta intitolata "Al Nakba", ossia "La catastrofe" - così il popolo palestinese definisce il giorno della proclamazione dello Stato di Israele, il 15 maggio 1948 - troviamo documenti molto interessanti, come "Tall El Zaatar", di M.Abu Ali, P. Adriano e J. Chamoun, dedicato ad una delle pagine più dolorose della resistenza palestinese. In Libano nella primavera del 1976, nel pieno di una guerra civile che opponeva le forze progressiste libanesi schierate a fianco dei palestinesi contro i falangisti cristiano-maroniti, questi ultimi, spalleggiati da Siria e Israele, assediarono il quartiere di Tall El Zaatar, abitato prevalentemente da profughi, che cadde dopo 52 giorni di strenua resistenza.

http://www.tmcrew.org/int/palestina/

6) SAWURNA: PALESTINESI DEL LIBANO
Regia di Marco Carraro, Andrea Pichler, Susanna Schoenberg
Prod. Dropout Officina, Milano, 2000, durata 55' circa
Nei primissimi anni del secondo dopoguerra, ed in particolare dopo il 1948 - anno di costituzione dello Stato di Israele, "rifugio" per gli ebrei del mondo, inizio di un calvario che sembra non avere fine per gli arabi di Palestina - circa 700.000 palestinesi vennero cacciati dalle loro case e villaggi. 100.000 di loro vennero spinti oltre il confine con il Libano. Oggi quei palestinesi sono 400.000, su oltre tre milioni di rifugiati palestinesi, i protagonisti della "nakba" - la "catastrofe" del 1948 - e i loro discendenti. La maggior parte dei palestinesi del Libano vive nei campi profughi, al principio strutture d'emergenza che col passare del tempo - e la costante negazione del "diritto al ritorno", pur sancito dalla risoluzione 194 e annualmente ribadito dall'ONU - hanno acquisito un carattere permanente. Ciò nonostante ai palestinesi sono negati i più semplici diritti umani e civili, quali il diritto allo studio e alla salute, il diritto alla casa e il fondamentale diritto al lavoro. La comunità riesce a sopravvivere con l'assistenza dell'UNWRA (agenzia ONU per i rifugiati palestinesi) e con l'aiuto delle ONG di tutto il mondo che sostengono le organizzazioni palestinesi che lavorano nei campi profughi. In Libano i palestinesi sono sempre stati considerati come "ospiti" scomodi. La loro presenza consistente e "resistente" è costata non poche sofferenze e molto sangue. L'appoggio dato dall'OLP ai musulmani e progressisti libanesi durante al guerra civile scoppiata nel 1975 valse ai palestinesi l'odio feroce delle falangi cristiano-maronite che, nell'estate del 1976 misero a ferro e fuoco il campo di Tall el Zatar massacrando oltre 3000 persone, per la maggior parte civili. Nel 1978 e poi nuovamente nel 1982 l'esercito israeliano invase il sud del Libano e attaccò i campi profughi con l'obiettivo di spazzare via la resistenza palestinese. La seconda invasione culminò con l'eccidio degli abitanti dei campi di Sabra e Chatila a Beirut, vigliaccamente perpetrato dai falangisti libanesi, su preciso mandato di Israele, dopo che l'OLP aveva completato il ritiro dei propri combattenti dal Libano con la sola condizione, garanti gli USA, della permanenza di una forza di protezione internazionale a tutela della popolazione civile: le truppe internazionali se ne andarono prima del tempo e a "tutela" dei campi rimasero i fascisti libanesi addestrati dagli israeliani…
Il documentario, prodotto dal collettivo Dropout Officina di Milano, è stato girato nell'estate del 1998, mentre i palestinesi del Libano seguivano con sospetto od aperta ostilità le faticose trattative di pace tra l'Autorità Palestinese e Israele, sempre arenate proprio sulla questione cruciale del ritorno dei profughi. Il Libano meridionale era ancora sotto l'occupazione israeliana. Il ritiro dalla cosiddetta "fascia di sicurezza" e lo scioglimento della milizia collaborazionista cristiana dell'esercito del Libano del Sud sono avvenuti solo nel maggio del 2000. Tuttavia, in oltre 50 anni, si sono succedute occupazioni e guerre ma nulla è cambiato nei campi profughi e nella vita dei palestinesi rifugiati in Libano: suburbi affollati, spazi angusti carenti di tutti i servizi essenziali e in condizioni igieniche paurose, disoccupazione, emarginazione… e nonostante tutto uomini e donne che sperano e resistono contro il tentativo di negare loro l'identità di popolo.

7) SHARON, L'ACCUSATO
di Fergal Keane, BBC - UK 2001, 50' circa
"Sharon: l'accusato" è un'inchiesta estremamente esaustiva e convincente sui retroscena del massacro di Sabra e Chatila (settembre 1982), il "capolavoro" di Ariel Sharon (ma forse con la stagione di sangue inaugurata nel settembre 2000 e non ancora conclusa ha già superato sé stesso…).
Nel giugno del 1982 l'esercito israeliano aveva invaso il Libano con l'obiettivo di annientare le basi della resistenza palestinese. Dopo tre mesi di bombardamenti incessanti e devastanti su Beirut (persino il presidente USA Reagan li definì "atti inammissibili"), l'OLP si ritirò dalla capitale libanese sotto la supervisione di un contingente internazionale. Quando anche la forza multinazionale levò l'ancora, prontamente l'infido Sharon, aggirando con eleganza l'impegno degli occupanti israeliani a non torcere un capello ai civili palestinesi rimasti, incarico' la feroce falange cristiano-maronita - addestrata ed equipaggiata da Israele - di "occuparsi" dei campi profughi. Quel che successe è noto: all'incirca 2000 persone, in maggioranza vecchi, donne e bambini, furono fatte letteralmente a pezzi durante 36 ore consecutive di inumana barbarie. I soldati israeliani, le cui basi si trovavano a meno di 500 metri dai campi, rimasero a guardare e anzi fornirono supporto logistico ai falangisti e cercarono di aiutarli nel tentativo, tanto grottesco quanto inutile, di coprire l'enormità del massacro. Allora il mondo si indignò, anche a Tel Aviv ci furono oceaniche manifestazioni di protesta (non altrettanto oggi, purtroppo…), il governo fu persino costretto a nominare una commissione di inchiesta. "Arik il Sanguinario" fu mandato a casa per un po', con una bella tirata d'orecchi. Niente di più. Mai nessun processo è stato celebrato contro i responsabili materiali e i mandanti di quell'eccidio. Il libanese Eli Hobeika, che allora guidò le operazioni della Falange, ha fatto un po' di carriera politica (ironia della sorte: è stato persino ministro per i profughi!), poi è diventato uno degli uomini d'affari più potenti a Beirut e infine, nel gennaio 2002, è stato dilaniato da un'auto-bomba… Già, aveva appena dichiarato di essere disponibile a testimoniare contro Sharon nel processo intentatogli da una corte belga sulla base di una legge che attribuisce competenza universale alla giustizia di quel paese per i crimini di guerra, contro l'umanità e il genocidio... Qualcuno ha dei dubbi sui mandanti dell'attentato? Amos Yuron, comandante israeliano fuori da Sabra e Chatila, che ignorò i rapporti dei suoi subordinati sul massacro in corso nei campi, è oggi direttore generale del Ministero della difesa. Sharon ha raggiunto il vertice del potere e, com'è sotto gli occhi di tutti, continua oggi come allora a fare la sola cosa in cui è davvero bravo: macellare i palestinesi.
Il documentario di Fergal Keane è stato trasmesso dalla BBC per la per la prima volta nel giugno 2001, nonostante le forti pressioni esercitate dal governo israeliano affinchè fosse messo al bando.

http://www.cinemah.com/neardark/index.php3?idtit=854

8) JERUSALEM: AN OCCUPATION SET IN STONE?(GERUSALEMME: UN OCCUPAZIONE PIETRIFICATA?)
Regia di Marty Rosenbluth. Prodotto dal Movimento Palestinese per il Diritto alla Casa - USA/Palestina 1995, 55'- v.o. con sottotitoli in inglese
Il film racconta la strategia dell'espansione israeliana a Gerusalemme est.
Da quando ha annesso Gerusalemme est nel 1967, il governo israeliano, attraverso la confisca della terra, la costruzione degli insediamenti dei coloni, il rifiuto delle concessioni edilizie e la separazione delle famiglie palestinesi, sta perseguendo una politica volta a limitare la popolazione palestinese nella città, mentre allo stesso tempo cerca di aumentare la popolazione ebrea. Il film di Rosenbluth è un bell'omaggio alle migliaia di palestinesi che vivono a Gerusalemme privati dei diritti fondamentali.

http://www.duke.edu/web/aso/marty.html
http://www.twf.org/News/Y1997/Jew.html

9) - UPRISING (RIVOLTA)
Regia di Alajos Chrudinak, prodotto dalla TV ungherese - 1988, 50'
v.o. con sottotitoli in italiano
Il film propone immagini molto interessanti, e purtroppo molto attuali, che risalgono all'inizio della Prima Intifada. Sono incluse interviste a Rabin, allora ministro della Difesa, a Shimon Peres, allora ministro degli Interni, e a Shamir, allora Primo ministro. Da tutti, con sfumature diverse, emerge la totale indifferenza per le ragioni dei palestinesi che, all'epoca, vivevano già da vent'anni sotto la feroce occupazione israeliana. Il più esplicito dei tre dirigenti israeliani è senz'altro il "falco" Shamir il quale, di fronte alle telecamere, ammette candidamente e sfrontatamente che Israele, l'unico paese al mondo nato da un mandato dell'ONU, non ha mai avuto né avrà mai intenzione di rispettare il diritto internazionale.
Il video contiene immagini fondamentali sull'occupazione (arresti di bambini, alcuni strappati ai soldati dalle madri, pestaggi gratuiti, maltrattamenti alle donne, brutalita' di ogni genere...).
Ci sono anche interviste a legali israeliani che raccontano la quotidianità dei soprusi e delle violazioni dei diritti umani di cui sono vittime i palestinesi.

10) WARBLOB - GUERRA ALL'AFGHANISTAN - Video #2
Cap 4 - Palestinesi: l'ultimo ostacolo al Nuovo Ordine Mondiale
Realizzato nel novembre 2001 - 25'
Immagini TV tratte da TG1, TG3, Al Jazeera, Sciuscià, Primo Piano, Frontiere.

Video:
Jerusalem. An occupation set in stone, di Marty Rosenbluth, Movimento palestinese per il diritto alla casa, 1995
Patria Palestina, di Fulvio Grimaldi, 2001
L'economia del Pentagono, di Barazzetti e Branca, RTSI TV Svizzera e Moby Dick Movies Roma, 1991

Film:
La battaglia di Algeri, di Gillo Pontecorvo, Italia 1966
Queimada, di Gillo Pontecorvo, Italia 1969
Indians (The indians story), di Richard T. Heffron, USA 1975


11) JENIN… JENIN * scheda *
Regia di Mohammad Bakri, Palestina/Italia 2002, 50'
Il documentario descrive gli effetti, sulle cose e sulle persone, della prolungata aggressione israeliana alla città palestinese di Jenin, nel nord della Cisgiordania. L'attacco, durato per tutta la prima metà dello scorso aprile, si è concluso con la distruzione totale del quartiere centrale del campo profughi, un chilometro quadrato fitto fitto di abitazioni in cui vivevano stipate circa 15.000 persone. Dopo i massicci bombardamenti effettuati dai giganteschi tank Merkava e dagli elicotteri Cobra (che, con i micidiali Apache Longbow della Boeing, sono venduti ad Israele dall'"amico americano" in numero sempre crescente, sono stati i mastodontici CATerpillar blindati (anch'essi di fabbricazione statunitense) a spianare tutto ciò che era rimasto ancora in piedi. L'effetto finale non differisce molto dall'ammasso contorto di metallo e cemento a Ground Zero: centinaia di vittime, in maggioranza persone inermi, impastate con le macerie…
Un film praticamente autoprodotto. Un autore, Mohammad Bakri, approdato da poco alla regia, assai più noto per i suoi intensi ruoli cinematografici. Un documento duro, incentrato sulle testimonianze delle vittime, un grido d'accusa corale contro la brutalità dell'occupante. Un artista da sempre scomodo, perché comunista, perché palestinese ma con passaporto israeliano, uno che non sta zitto e che denuncia. Non un film-inchiesta, all"anglosassone", semmai un film-urlo. Protagonisti le macerie e la rabbia dei sopravvissuti.
Iyad Samoudi, produttore esecutivo del film, è stato assassinato dall'esercito israeliano il 23 giugno, al termine delle riprese.
In Israele il film è stato colpito dalla censura governativa ed il suo autore, Mohammad Bakri, ha subito pesanti intimidazioni da parte dei servizi segreti israeliani.

http://www.cinemah.com/ipertesti/bakri-jenin/index.html
http://www.cinemah.com/quick-ones/mazar/index.html


12) VOCI DA GAZA - LIVING WITH THE PAST
Regia di Antonia Caccia & Maysoon Pachachi - 1989, 51'
v.o. con sottotitoli in italiano
Voci da Gaza è uno dei più interessanti documentari sulla Palestina prodotti dopo l'inizio della prima Intifada. Le registe hanno scelto di intervenire il minimo indispensabile con propri commenti e di dare invece piena voce agli abitanti di Gaza, il 70% dei quali sono rifugiati.
Gli uomini, le donne ed i bambini palestinesi parlano dell'effetto dell'occupazione israeliana sulle loro vite: i coprifuoco sono continui, gli arresti sistematici e le pattuglie dell'esercito sono onnipresenti. Ma nonostante tutto i "comitati popolari locali" lavorano alacremente e forniscono formazione, assistenza sanitaria e servizi sociali alternativi. E' prima di tutto con l'autorganizzazione che il popolo palestinese riesce a combattere l'occupazione israeliana.

http://www.frif.com/cat97/t-z/voices_f.html
http://www.littleredbutton.com/gaza/about.html [gaza strip]

13) CON LA PALESTINA NEGLI OCCHI
Regia di F. Mariani e V. Giorno - Prod. Immagini Mosse/Ya Basta, 2002, 30'
Dal 27 marzo al 4 aprile 2002 centinaia di persone da tutto il mondo hanno partecipato ad una carovana di pace in Palestina , organizzata da Action for Peace. Il video racconta i primi giorni dell'operazione "Muraglia di difesa" con cui, nella primavera scorsa, l'esercito israeliano a rioccupato i territori palestinesi. Le videocamere seguono gli attivisti della delegazione italiana ai posti di blocco che tengono prigioniera la popolazione civile, nelle strade devastate di Ramallah occupata, nel riuscito tentativo di rompere l'assedio militare al quartier generale di Arafat, nel servizio di protezione delle strutture sanitarie. Un paesaggio agghiacciante, quasi surreale, di repressione, di macerie e di morte; un'insolita e terribile passeggiata attraverso la guerra globale permanente che in Palestina ha, da almeno sessant'anni, il suo laboratorio di sperimentazione avanzata. Ma anche una testimonianza dell'impegno della società civile come forza di interposizione e di diplomazia dal basso laddove le istituzioni internazionali sono colpevolmente assenti.

http://digilander.libero.it/immaginimosse/index2.html
http://www.yabasta.it/

14) RADIO PALESTINA (LIVE FROM PALESTINE)
Regia di Rashid Masharawi - Prod. Article Z, Palestina 2002, 52'
Un tuffo all'interno dell'emittente radiofonica "Voice of Palestine", stazione ufficiale dell'Autorità palestinese ma anche voce del popolo e megafono della sua resistenza. Nel gennaio 2002 l'esercito israeliano ha fatto saltare l'edificio in Ramallah che ospitava i locali della radio, ma non è comunque riuscito a spegnerne il segnale: poche ore dopo l'incursione sono riprese regolarmente le trasmissioni. Il film di Masharawi descrive la difficile situazione in cui si trova ad operare il giornalismo radio televisivo in Palestina e, nel contempo, cerca di sfuggire a quell'immagine di violenza e brutalità in cui la Palestina è stata relegata dai media, rappresentando gli aspetti del vivere quotidiano e le storie della gente comune che di solito non vengono mostrati.


15) CHE NESSUNO PIANGA
Regia di Maren Karlitzki, Prod. Coop. Suttvuess Roma, 2002, 50'
Video girato a metà aprile del 2002, subito dopo la strage e le devastazioni perpetrate a Jenin dalle truppe di occupazione israeliane. Tre quarti d'ora di immagini e testimonianze dirette su uno dei crimini più gravi commessi dagli "eroici" soldati di Tel Aviv. Il titolo fa riferimento alla "Cantata rossa per Tall El Zaatar", la celebre poesia di Giulio Stocchi, musicata da Gaetano Liguori e interpretata nel 1977 dall'indimenticabile voce di Demetrio Stratos: "Ma che nessuno / nessuno dico / che nessuno pianga! / Non una lacrima / dalle terre segrete / del nostro dolore / non una lacrima! / Perché in piedi / in piedi sono morti / Che nessuno pianga!"


16) FINO ALL'ULTIMA KEFIAH!
Regia di Fulvio Grimaldi, Italia 2002, 60'
In questo video l'inossidabile Grimaldi ci offre uno sguardo molto ampio sulla realtà e sulla storia palestinesi: le condizioni di vita nei campi profughi a Beirut; i giorni del ritiro israeliano dal Libano del sud, nel maggio del 2000; lo scoppio della Seconda Intifada, il suo perdurare e rafforzarsi, le sue ripercussioni tra i profughi e tra le masse arabe, dall'Algeria all'Iraq. Grimaldi si sofferma poi sulle forme della quotidiana repressione che i palestinesi subiscono in Cisgiordania come a Gaza come anche in Israele: non si tratta solo delle operazioni devastanti operate dall'esercito israeliano, ma delle code interminabili ai posti di blocco, del furto della terra e dell'acqua, della distruzione delle case, della crescita inarrestabile degli insediamenti coloniali… Una parte del video è poi dedicata alle manifestazioni ed alle azioni di interposizione dei pacifisti europei ed israeliani, volte a dare un segno della forte condanna che la società civile internazionale esprime verso la brutale occupazione israeliana dei territori palestinesi.






La vita e la storia di Naji Al-Ali

curata da Tactical Media Crew








Naji Al-Ali nacque nel 1937 ad Asciagiara: in arabo 1'albero, un piccolo villaggio nell'alta Galilea, fra Nazareth ed il lago di Tiberiade.
La sua famiglia, composta da quattro figli, oltre al padre ed alla madre, era la classica famiglia contadina che viveva della coltivazione della terra intorno all' abitazione. Ciò spiega, in parte, il valore della terra, che compare in molte delle sue vignette.
All'indomani della prima guerra mondiale e della caduta dell'impero ottomano, l'intera regione mediorientale, vista la sua importanza strategica, venne suddivisa fra Gran Bretagna e Francia.
Grazie all' accordo stipulato tra le principali potenze imperialiste, noto come l'accordo di Sykes-Picot, la Palestina divenne automaticamente una colonia inglese.
Il movimento sionista, forte della "dichiarazione di Balfour", colse il momento,incrementando fortemente l'immigrazione ebraica in Palestina, e scatenando il terrore tra la popolazione araba indigena, mediante azioni terroristiche delle bande sioniste di "Irgun", "Stern" e "Haganah".
I nuovi immigrati si insediavano nei villaggi palestinesi e nelle colonie agricole, una volta cacciati gli abitanti e contemporaneamente sorgevano insediamenti ex novo.
Sia questi che le colonie, venivano edificati in stretta vicinanza dei villaggi palestinesi, su terreni di proprietà palestinese, una minima parte dei quali veniva comprata ai latifondisti, mentre la maggior parte veniva espropriata con la forza.
Fino agli inizi degli anni trenta, nel villaggio di Asciagiara, come del resto in tutti villaggi e città palestinesi, regnava una pacifica coesistenza, tra mussulmani, cristiani ed ebrei palestinesi, ossia tra i nativi della Palestina, al di la delle loro credenze religiose.
Come avveniva regolarmente in quel periodo in tutta la Galilea per assorbire gli ebrei provenienti da tutte le parti del mondo, fu eretto un insediamento dall'altra parte della vallata in cui si trovava il villaggio di Al-Ali.
Gli ebrei originari di Asciagiara, credendo nella campagna condotta dai sionisti, lasciarono il loro villagio trasferendosi nell' insediamento.
Negli anni quaranta Asciagiara, subì numerosi attacchi militari da parte dei coloni per poi essere raso al suolo definitivamente nel 1948.
Chi riuscì a sopravvivere al massacro cercò una sistemazione di fortuna nei vari campi profughi che l'ONU stava allestendo nella regione.
La famiglia di Naji Al-Ali trovò rifugio nel campo profughi di Ein Al-Hilwe, vicino a Sidone, nel sud del Libano, dove tutt'ora risiede.




Naji Salim al-Ali (1938-1987) 
Photo Credit: http://www.passia.org




ية إلى ناجي العلي

ناجي العلي 
حنضلة ناجي العلي رسومات فلسطين handala palestine naji al ali



Nel corso di un intervista Naji ha descritto cosi la vita nel campo:

"Li, la vita era al limite della dignita umana, vivevamo in sei in un'unica tenda la metà della quale era stata trasformata in una sorta di spaccio dove mio padre vendeva le sigarette, gli ortaggi, ed altri oggetti di poco valore" (dal quotidiano "Assafir" 11/6/'83).

Nonostante l'estrema povertà della famiglia, i quattro figli frequentarono la scuola elementare del campo. Già da allora emerse uno spiccato talento di Naji per l'arte. Finite le elementari, Naji dovette interrompere gli studi per lavorare. Per qualche anno fece parte dell'esercito di manodopera a bassissimo costo nelle varie raccolte stagionali. Agli inzi degli anni cinquanta, Naji frequentò per due anni un corso di meccanica presso una scuola professionale a Tripoli in Libano. Finito il corso si trasferi a Beirut alla ricerca di un lavoro.
Come casa aveva una tenda offertagli dall'UNRWA nel campo profughi di Chatila.
Negli anni 50, grazie al petrolio, i paesi arabi del Golfo ebbero un notevolissimo sviluppo, diventando così meta di molti giovani arabi alla ricerca di un lavoro. I palestinesi avevano a loro favore il fatto di essere tra i più preparati, sia a livello tecnico-professionale che a livello accademico.
Cosi, nel '57, Naji emigrò in Arabia Saudita, ma, non riuscendo a sopportare a lungo la lontananza dalla sua famiglia, nonché dalla sua gente, nel '59 tornò in Libano.
In quei due anni cominciò ed interessarsi in modo predominante all' arte. Al suo rientro a Beirut si iscrisse all' "Accademia delle Belle Arti" libanese.
Nel frattempo, soprattutto dopo la NAKBA del 1948, nel mondo arabo si stava diffondendo il "panarabismo" quale ideologia nonché strumento di lotta, non solo contro Israele per la liberazione della Palestina, ma anche contro l'Occidente imperialista.
La vittoria della rivoluzione di Nasser in Egitto negli anni '50 diede al panarabismo una grande spinta. I palestinesi furono tra i principali fondatori e attivisti di questo movimento.
Nel 1959 Naji si iscrisse al movimento per scoprire di non essere adatto alla militanza partitica. Infatti dopo appena un anno diede le dimissioni. Di questa sua militanza disse:

"Nonostante tutte le mie convinzioni, non riuscivo a ritrovarmi nel partito. Loro discutevano tanto, ho imparato molto. Da allora ho capito che il Giorno verrà e che la Rivoluzione avverra" (Rivista "Al Hurriyyeh" del 20/8/1979).

In questo periodo di militanza partitica, venne arrestato per ben sei volte. Ciò gli impedì di proseguire i suoi studi all'Accademia. Alla fine si trasferi a Tiro dove per tre anni insegnoò arte in una scuola locale.
Naji fece anche parte di un gruppo teatrale "legato" al movimento panarabo ma gradualmente, si orientò verso un altro campo artistico, meno caro, di più facile esecuzione ed in grado di raggiungere più facilmente un maggior numero di persone: la caricatura. Del resto, lui stesso aveva già sperimentato la caricatura come "mezzo di comunicazione" durante la sua prigionia.
Il quotidiano libanese "Al- Yaum" fu il primo a pubblicare le sue vignette. Nel 1961 conobbe Ghassan Kanafani (politico e letterato palestinese) che, colpito dalle sua vignettele fece pubblicare sulla rivista "Al- Hurriyyeh", organo del movimento panarabo.



Agli inizi degli anni '60 la situazione dei palestinesi in Libano ando sempre piu deteriorandosi. Gli spazi lavorativi ai quali potevano accedere, si stavano restringendo sempre piu. In Kuwait in quel periodo la stampa e l'attività giornalistica godevano di una certa libertà. La concomitanza di questi ed altri fattori, spinsero Naji ad immigrare in Kuwait, tra cui l'invito a collaborare alla rivista "Attali'a"(kuwaitiana), legata al movimento panarabo. In un primo periodo Naji fu parte integrante della redazione della rivista, come giornalista e vignettista.
Presto però tale attività si rivelò insufficiente. In un'intervista rilasciata al quotidiano "Assafir", del 19/7/'83, ebbe, a tal proposito, a dire:

"Ho scoperto che il mio lavoro settimanale non mi bastava. Avevo bisogno di un rapporto quotidiano con la gente".

Così lasciò "Attali'a" per collaborare al quotidiano kuwaitiano "Assiyasat", dove lavorò fino al 1974.
Naji continuò a mantenere uno stretto rapporto con la rivista libanese "Al-Hurriyyeh" dove regolarmente comparivano le sue vignette.
La caricatura poteva e doveva svolgere un ruolo importante nella sensibilizzazione e nella mobilitazione delle masse per la difesa dei propri diritti. Cosi l'arte diventò per Naji Al-Ali un dovere in quanto strumento di lotta. Attraverso le sue vignette riuscì a trasmettere le giuste cause. Per fornirsi di maggiori strumenti, si mise a studiare le varie forme di caricatura e anche la storia e la cultura araba, interrompendo, di fatto gli studi accademici. Il soggiorno di Naji in Kuwait fu, quindi, determinante per la sua attività artistico-professionale. In quegli anni, infatti, riuscì a costruirsi una solida formazione, che gli consentì di affermarsi su diversi giornali e riviste, entrando a far parte del mondo, peraltro abbastanza esclusivo, dei vignettisti di fama mondiale.
Nel 1973 scoppiò l'ennesima guerra arabo-israeliana.
Era ormai evidente che l'alleanza di imperialismo-sionismo-paesi arabi conservatori, mirava a liquidare la questione palestinese.
Facendo leva sui falangisti libanesi, l'alleanza scatenò, in Libano, una guerra civile, allo scopo di stornare l'attenzione della resistenza armata palestinese dai propri obbiettivi primari, e prepararne l'espulsione dal paese. Consapevole dei pericoli che correva la causa palestinese, Naji tornò in Libano nel l974, e li collaborò con il quotidiano "Assafir" fino al l983.
Durante il periodo trascorso in Kuwait, attraverso le vignette, registrò e descrisse tutte le realtà e i temi che interessavano in quegli anni la vita del popolo arabo:
le questioni sociali o di "costume", come la povertà, la burocrazia dei governi, la corruzione, ecc., tutti elementi diffusi allora come oggi nel mondo arabo;
l'immigrazione iraniana nei paesi del Golfo negli anni '60;
la situazione politica generale del mondo arabo, sottolineando l'assenza di qualunque forma di democrazia,sostituita, invece dall'ampio uso della repressione e del terrore, da parte dei regimi;
l'unità araba;
il petrolio ed il suo uso illegittimo;
la questione palestinese ed il conflitto arabo-israeliano.




La guerra arabo-israeliana del 1973, provocò un grande disorientamento tra la popolazione araba, per le tante attese andate regolarmente deluse, e per il crollo di diversi regimi arabi. Il Libano non fu immune da tali ripercussioni "psicologiche".
La "patria dei cedri", confinante con lo Stato Israeliano, e dove, grazie alle lotte, le forze socialiste e progressiste locali avevano fatto non poche conquiste, divenne un fertile terreno per la riorganizzazione della resistenza armata palestinese, dopo la sua espulsione dalla Giordania, in seguito ai tragici eventi del "settembre nero".
In tale contesto, per destabilizzare un paese che poteva diventare fonte di non pochi problemi per gli interessi imperialisti-sionisti nella regione, l'alleanza Israele-Occidente scatenò una sanguinosa guerra civile sostenendo i falangisti e i collaborazionisti, nel sud del paese.
Questa guerra non risparmiò nessuna famiglia, libanese o palestinese, residente in Libano. In moltissimi, per aver salva la vita, abbandonarono il paese. Naji, invece, rimase a combattere, con i propri mezzi, la guerra, ad incitare i proletari e gli oppressi ad unirsi nello scontro contro i fascisti e la borghesia, a non farsi ingannare dalle bandiere professional-religiose, dietro le quali si nascondeva il nemico di classe, quello sionista e fascista.
Contemporaneamente, consapevole degli errori che venivano commessi dalle forze naziona- liste libanesi e dalla stessa resistenza palestinese, Naji non risparmiò, con l'ironia delle sue vignette, i loro leaders invitandoli a non dimenticare le masse ed a rimanere sensibili all'autenticità della causa.
Ciò non lo rese particolarmente popolare in alcuni ambiti politici, anche palestinesi, specialmente in quelli che detenevano (e detengono tuttora) il potere nelle strutture dell'OLP. Inoltre, a rendere la sua posizione ancor più vulnerabile, era che Naji non militasse in alcuna forza politica determinata, né palestinese, né libanese. Egli, infatti riteneva di riuscire a dare di più alla causa lottando indipendentemente dalle istituzioni.
In un'intervista alla rivista "Al- Hassna' Assahira", del l5/8/'75, Naji disse:
"Io milito per la causa palestinese e non per le singole fazioni palestinesi. Non disegno per conto di qualcuno, disegno solo per la Palestina, che per me si estende dall'Oceano Atlantico fino al Golfo (si intende tutto il mondo arabo n.d.r.)".

In conseguenza a questo suo atteggiamento, Naji Al-Ali subi diverse minacce ed alcuni cercarono di corromperlo. Convinto delle proprie idee, continuò a disegnare e ad esprimersi, portando avanti la sua lotta nel modo che riteneva giusto.
Chi seguì l'opera di Naji Al-Ali in quegli anni, non potè non notare l'evoluzione delle sue vignette. Da semplice disegno umoristico, la vignetta, nel mondo arabo, si stava trasformando in uno strumento capace di far pensare alla possibilità e alla necessità del cambiamento radicale.
Fino agli anni 60, infatti, la caricatura araba trattava solamente tematiche sociali, e Naji fu il primo ad usare la vignetta con profondi intenti politico-rivoluzionari.
Così, nel giro di poco tempo, divenne, non solo l'espressione dell'umiliazione del popolo arabo, ma anche l'attento ed il sincero "portavoce" degli oppressi e dei poveri.
Nel marzo '76 il "Centro Scientifico per l'Informazione", legato al quotidiano "Assafir", pubblicò il primo libro di Naji Al-Ali, che comprendeva diversi capitoli suddivisi per temi.
E' superfluo sottolineare, a questo punto, come la questione palestinese fosse l'argomento principale delle vignette. Queste vennero esposte in vari Paesi del mondo: da Cuba al Kuwait, dalla Siria agli USA. Joan Afrique, una studiosa francese di origine africana, in un suo studio sulla caricatura araba, di Naji Al-Ali, scrisse:

"Riesce a riportare con estrema chiarezza i disagi e le amarezze dell'uomo comune".

La rivista londinese "Events" considerò Naji Al-Ali come "uno dei testimoni fondamentali della nostra epoca storica" ("Assafir" 7/ll/'80).
Per due anni consecutivi, nel l979 e nel l980, Naji vinse il primo premio alla "Mostra del Disegnatore Arabo". e, sempre nel l980, divenne presidente della "Lega dei Caricaturisti Arabi".




Con un futile pretesto, nel l982, l'esrcito israeliano invase il Libano. Lo scopo reale era quello di dare un colpo mortale alla resistenza armata palestinese presente in Libano, togliendo, quindi, ai palestinesi, una delle ultime carte a loro disposizione nella lotta contro Israele.
In quel periodo Naji Al-Ali si trovava a Beirut. Quando l'esercito israeliano raggiunse la cittadina di Sidone, Naji vi si trasferì ritenendo doverosa la sua presenza in prima fila per combattere gli invasori. Non usò mai le armi. La sua presenza sul campo di battaglia ebbe più che altro il valore morale di sostenere chi lottava contro gli aggressori. A Sidone Naji rimase per circa un mese. Di questa sua esperienza successivamente raccontò:

"Quando gli israelia- ni hanno invaso Sidone, ero li. Con gli altri abbiamo affrontato il terrore e la paura. Per giorni e giorni eravamo il bersaglio delle artiglierie e dei raids aerei. Con i miei occhi ho visto la distruzione, la morte... Sotto la minaccia dei fucili israeliani siamo rimasti senz'acqua e senza cibo per due giorni sulla spiaggia sotto il sole cocente. I barbari ci dovevano controllare per arrestare chi ritenevano opportuno. A Sidone sono rimasto per un mese. In quei giorni non ho disegnato affatto. Anche se avessi potuto farlo, non avrei saputo fare arrivare le vignette ai giornali. Quando gli invasori hanno assediato Beirut, mi sono trasferito li, nella capitale" ("Al-Arabi", N. 297, agosto l983).

Arrivato a Beirut, Naji era sempre in prima fila per difendere la città e per proteggere i libanesi e i palestinesi dalla barbarie degli israeliani. L'assedio di Beirut durò per più di tre mesi.
Naji disegnò tantissimo incitando, attraverso le vignette, la gente a combattere e a resistere fino alla vittoria o al martirio. In un'intervista all'ascia'b Al-Urduniyyeh del l0/l2/l984, Naji descrisse così quel periodo:

"In quei giorni non c'era differenza fra la vita e la morte. I palazzi e le mura crollavano come degli scatoloni di carta. Nonostante tutto il morale della gente era altissimo. Nessuno cedeva. Anzi, moltissimi hanno fatto dei propri corpi barricate e dighe contro gli invasori."

In coerenza con le sue idee e consapevole della vera natura del nemico, si dichiarò subito contrario alle trattative, sponsorizzate dagli USA, tra la leadership palestinese e gli israeliani. Anzi, andò oltre.
Attraverso le vignette incitò i combattenti a non deporre le armi e a non farsi illudere dalle promesse americane. Era conscio dei pericoli che correvano i campi profughi palestinesi una volta disarmati e lasciati alla mercé degli israeliani e dei falangisti libanesi. Dopo nemmeno una settimana dalla partenza dei guerriglieri palestinesi (come sancito dagli accordi firmati tra le parti), l'esercito israeliano occupò tutta la parte Ovest di Beirut (dove risiedeva la popolazione palestinese nonché la resistenza nazionale palestinese).
I falangisti, appoggiati dai sionisti, consumarono uno dei massacri più orribili dei nostri tempi, quello di "Sabra e Chatila". In tal modo, conquistarono il pieno controllo di tutta la parte Ovest di Beirut.
Quindi, ebbe inizio, casa per casa, la caccia all'uomo. Nel mirino c'erano tutti gli attivisti libanesi e palestinesi. Il quotidiano degli Emirati Arabi "Al-Fajr" del ll/7/l983, riferisce che Naji Al-Ali passò, in quei giorni, in clandestinità, trascorrendo circa sette mesi nei sotterranei della capitale libanese.
A maggio di quell'anno, lo stesso Centro di Informazione, legato al quotidiano "Assafir", pubblicò un secondo libro di Naji Al-Ali che conteneva 250 vignette e mise in evidenza l'ulteriore evoluzione dell'opera di Naji; la maggior parte delle vignette era senza commenti.
Presentando il libro sulle pagine del suo giornale, Talal Salman, il direttore di "Assafir", scrisse:
"Per Naji Al-Ali non esistono le soluzioni intermedie. Per lui esistono solo il bianco e il nero. Non c'e posto per il grigio. Ciò che si trova tra questi due estremi, per Naji e un campo di battaglia eterno tra ciò che c'è e ciò che ci dovrebbe essere".



Dopo la clandestinità, Naji immigrò in Kuwait. In un'intervista rilasciata alla rivista saudita "Al-Yamamat", del maggio l984, motivò così la sua decisione:

"Ho lasciato Beirut per motivi politici e non per la mia sicurezza personale. Chi deve morire muore ovunque. Il Centro di Ricerche Palestinesi e stato chiuso. Sul quotidiano "Assafir" e stata imposta una censura opprimente. Così mi sono sentito pronto per tornare all'altro fronte ... in Kuwait ... dove, attraverso la stampa, relativamente libera, potevo portare avanti il mio impegno e la mia lotta".

L'allontanamento dei guerriglieri palestinesi dal Libano e la loro successiva dispersione in diversi paesi Arabi diede un colpo pesante alla rivoluzione palestinese. Questo condusse Naji Al-Ali alla depressione o alla disperazione. I suoi ideali, l'unità araba, la libertà ed il socialismo, lo guidarono in questa fase molto delicata alla ricerca del come unire tutte le forze arabe su basi nuove per poter far fronte alle mire imperialiste e sioniste nella regione.
Si rese conto che bisognava continuare a lottare instancabilmente, ognuno con i propri mezzi. A tal proposito, disse:
"In questa fase dannata il mio ruolo assomiglia sempre di più al ruolo del muezzin ... devo mobilitare e sensibilizzare la gente ... non devo smettere di disegnare ... continuerò ... Se non trovo un giornale disposto a pubblicare le mie vignette, disegnerò sugli alberi, sui marciapiedi. Intorno a noi è grigio, però è in condizioni come queste che il mio ruolo diventa piu chiaro ... In queste condizioni i miei sentimenti sono piu limpidi ... dovrei smascherare coloro che si riempiono la bocca con le parole ... nel buio c'è tutto ... per ripristinare i nostri diritti, la lotta è l'unico linguaggio. Il fulcro di tutto e la democrazia. Le nostre frecce vanno lanciate contro le catene, le maschere, le carceri e le leggi truffa ... la repressione non ha mai regalato la democrazia ... la repressione non cede spontaneamente ... la repressione non si suicida ... VA UCCISA. Per poterla uccidere, bisogna lottare. Nessuno ha la soluzione pronta. La soluzione nasce dal conflitto ... per questo, il conflitto deve essere mantenuto vivo" ("Al-Qabas", l2/5/l984).

Tornato in Kuwait, iniziò a collaborare con il quotidiano kuwaitiano "Al-Qabas". In quei giorni le sue vignette attaccavano aspramente i regimi arabi per la loro totale sottomissione alla volontà degli USA.
Il crescente terrore e l'escalation esasperata della repressione che i regimi arabi esercitavano contro i loro popoli, andavano di pari passo alle pressioni che l'amministrazione USA esercitava sui governanti della regione.
Per questo, il quotidiano americano "New York Times" scrisse:


"Le vignette di Naji Al-Ali rispecchiano fedelmente l'opinione che il cittadino arabo ha degli USA" ("Al-Maukef", N. 47, 6/3/l985).

Il 2/2/1985, sempre a Kuwait City, espose la maggior parte delle sue vignette. La mostra durò dodici giomi, riscuotendo un notevole successo. Il quotidiano "Al-Qabas" commentò così

"L'immenso successo che la mostra ha riscosso, esprime la coscenza del cittadino arabao, dei suoi problemi quotidiani ed esistenziali".

Nello stesso anno la stessa casa editrice di "Al -Qabas" pubblicò il terzo libro di Naji Al-Ali. Il libro conteneva 208 vignette concentrate soprattutto sulle realtà di terrore e di repressione regnanti nel mondo arabo.



A metà del 1983, scoppiò purtroppo, un conflitto armato fra le svariate fazioni palestinesi.
Naji Al-Ali condannò severamente questa guerra fratricida. Invitò le varie formazioni palestinesi a risolvere i propri conflitti attraverso il dialogo, e a risparmiare le armi e le vite dei combattenti, per la lotta contro Israele. Indicò la leadership dell'OLP come responsabile principale di questa assurda guerra. Criticò aspramente la borghesia palestinese che di fatto controllava tutte le strutture dell Organizzazione per la Liberazione della Palestina.
Di conseguenza invitò tutti coloro che erano fedeli alla causa a riflettere sui pericoli che incombevano sull'OLP per la totale mancanza di democrazia nelle sue strutture nonché per l'ormai evidente tendenza della leadership ad accettare i vari piani USA.
Chiaramente tutto ciò scatenò l'ira della casta burocratica che vi deteneva (e che detiene tutt'ora) il potere. Questa leadership fece scattare su vari quotidiani e riviste palestinesi ("Falastin Attaura ', "Al-Ufok" "Assahkra") nonchè su vari giornali arabi filogovernativi (e quindi di destra) una campagna diffamatrice contro Naji Al-Ali, accusandolo di essersi venduto per modiche somme di denaro ad alcuni regimi arabi che cospiravano contro la Rivoluzione.
Ad aprile del 1984, a Naji fu negato di partecipare alla mostra per la Terra di Palestina che si teneva a Kuwait City. Come se non bastasse, la destra palestinese riusci ad istigare gli studenti islamici delle Universita Kuwaitiane a scendere in piazza per manifestare contro di lui, accusandolo di ateismo e di anti-Islamismo. Contro questi attacchi gratuiti condotti dalle destre palestinesi ed arabe, a difesa di Naji Al-Ali scesero in piazza tutte le forze progressiste e nazionaliste arabe. La rivista kuwaitiana "Attali'a" del 5/4/1984 scrisse.

"La borghesia palestinese, escludendo Naji dalla Mostra per la Terra di Palestina, spera di uccidere le sue idee nazionaliste e democratiche. Questa casta vorrebbe cucire la bocca a chi sostiene la necessità di ripulire le strutture dell Olp dagli opportunisti e da chi vive sulle spalle della Rivoluzione e del Popolo. Tutto ciò comumque non costituisce una novità. Già altre volte questi burocrati hanno fatto ricorso alle minacce e ai ricatti per intimidire gli artisti e gli intellettuali."

Il quotidiano "Al-Watan" del 15/4/1984 scrisse:

"Naji Al-Ali è un fenomeno umano ... un fenomeno Arabo-Palestinese figlio della Palestina, figlio della Terra, figlio del Popolo Arabo. Nessuno meglio di lui riporta i sentimenti, le aspettative, le depressioni, gli umori di milioni e milioni di Arabi ... dall Oceano al Golfo ... In altri paesi un fenomeno così raro come lo è Naji Al-Ali viene protetto, stimolato. Da noi, invece, per curare i propri interessi, alcuni dei nostri leader non esitano a distruggerlo ... ad eliminarlo...."

Nonostante l'enorme appoggio popolare che Naji Al-Ali ottenne in quei giorni, la destra Palestinese continuò la sua campagna. La cospirazione andò oltre. I burocrati palestinesi premendo sul governo kuwaitiano ottennero 1'espulsione definitiva di Naji nel novembre del 1985.
Tutti i governi arabi gli rifiutarono accoglienza. Per questo decise di trasferirsi a Londra.




Insieme a sua moglie ed ai suoi figli, si recò a Londra. La sua espulsione dal Kuwait nonchè il rifiuto di tutti i paesi arabi ad accoglierlo non lo misero in crisi. Questa nuova situazione diede piu vigore alla sua lotta. Da Londra continuò a collaborare con il quotidiano kuwaitiano "Al-Qabas". Inviò i suoi lavori anche al quotidiano giordano "Saut Ascia'b" che pubblicò regolarmente le sue vignette. Il suo sogno era di stabilire un contatto diretto con quella parte del Popolo Palestinese rimasto nella propria terra, in Palestina. Così, pur non condividendo il programma del Partito Comunista Israeliano, accettò di collaborare con il suo organo "Al-Ittihad".
Mai come allora le opere di Naji vennero pubblicate contemporaneamente in varie parti del mondo arabo, dal Cairo a Beirut, da Bagdad a Tunisi, da Parigi a Londra (in queste due realtà vengono pubblicati vari quotidiani in lingua araba).
Le attività di Al-Ali non si limitarono ai giornali e alle riviste arabe. Nel 1986 espose in vari ambienti londinesi. Lo scopo era di far conoscere agli inglesi la giusta Lotta del Popolo Palestinese per i propri diritti, il diritto al ritorno, all'autodeterminazione e ad uno Stato Palestinese Indipendente sulla Terra di Palestina.



In tutta la sua vita, non cercò la fama, e ancor meno il successo economico. Mirò unicamente a servire il suo popolo e la sua patria, pagando a caro prezzo le sue idee ed il compito che si era prefisso. La sera del 22/7/1987, a Londra, uno sconosciuto gli sparò. Dopo più di un mese di coma, alle 5 del mattino del sabato 30/8/1987, Naji morì, lasciando in eredità al suo popolo, e al mondo, circa 40.000 vignette, frutto di 25 anni di instancabile e appassionata attività in favore degli oppressi di tutto il mondo.
Tratto dal volume "No al silenziatore" di Saad Kiwan e Vauro Senesi
Riferimenti:
Read I Am From Ain Al-Helwa, by Naji Al-Ali
Al-Ali's Biography on Wikipedia
http://www.najialali.com/




E' un bambino, piccolo, un po' spelacchiato, piedi nudi e toppe sui vestiti, difficile vederne il volto perchè sta sempre di spalle.
E' così che Naji Al Ali disegnava Handala, il suo personaggio principale. Handala c'è in quasi tutte le vignette di Naji, una
presenza muta, ma ostinata.
Come quella del popolo palestinese al quale si vuole negare identità, ma che come Handala, c'è.
Handala senza volto riesce a gridare contro la negazione.
Volta le spalle a chi ha voltato le spalle al dolore dei palestinesi e guarda, guarda le vicissitudini della sua gente che Naji disegna con amore. Se sul volto di Handala ci sono lacrime o sorrisi solo quella gente potra scorgerli, perchè è girato costantemente verso di loro.
Voglio immaginare anche Naji di spalle, mentre disegna con quel suo tratto sottile ed insinuante come la sabbia del deserto, curvo sul foglio sul quale tesse il racconto del suo popolo, mischiando all'inchiostro il dolore e l'ironia, la rabbia e la poesia.
Tutta la sua intelligenza e la sua fantasia costrette dall'amore a concentrarsi su un dramma.
Quanti fogli ha riempito. E Handala, con la sua schiena, sempre li, forse per tenerci un po' distanti da quei disegni di cui fa parte e che gli appartengono. E' lui il primo a guardarli. Noi possiamo solo sbirciare da dietro le sue spalle imparando la dignità. Noi gli occidentali, noi gli israeliani, noi gli emiri o i piccoli dittatorelli dei regimi arabi, perchè il popolo di Palestina è dall'altra parte del foglio e può vedere il volto di Handala in quello dei tanti bambini, suoi figli che colmano con le loro risa, i loro giochi e troppo spesso con le loro morti, le strade polverose dei campi profughi, i vicoli antichi di Gerusalemme e gli uliveti d'argento della Cisgiordania.
Naji aveva la fortuna degli artisti, poteva usare il foglio come una porta magica, attraversarlo e raggiungere la sua terra anche dall'esilio.
Naji aveva la generosità dei poeti e cercava di portarci con se, per aiutarci a capire. Naji e morto, è stato ucciso, rimane solo Handala.
Chissà forse se impareremo a guardarlo con gli occhi di un palestinese un giorno si girerà verso di noi.


L'hanno assassinato. Col silenziatore. Con quell'arma vile che ha fatto zittire per sempre decine e decine di uomini che cercavano la luce della libertà sfidando il buio calato sul mondo arabo.
Era l'arma (e lo è tuttora) di chi ha il potere, ma non il coraggio di ascoltare la voce della ragione.
L'arma contro la quale Naji ha lottato con tutte le sue forze, con la sua matita e le sue vignette.
"Il fulcro di tutta la democrazia", amava ripetere il grande vignettista nelle sue poche interviste che rilasciava o nelle sue rare apparizioni in pubblico.
Quando mi è stato chiesto di scrivere queste parole di presentazione ho avuto un attimo di esitazione perche Naji non era un vignettista qualsiasi e non era solo un bravo artista. Agli altri vignettisti non mancava il senso dello humour, o la battuta piacevole. Ma Naji era semplicemente un genio.
E' difficile quindi inquadrare in poche righe, ma il mio amore-bisogno quotidiano della sua vignetta mi spinge a provare.
Erano gli anni più feroci della guerra civile in Libano. Una guerra che ha segnato forse, irrimediabilmente il destino dei palestinesi, dei libanesi e di tutto l'assetto regionale.
I risultati di oggi sono in gran parte il frutto di quella amara e forse storica sconfitta subita da uno schieramento libano-palestinese che si voleva progressista e per il riscatto nazionale.
Oggi il Libano sta cercando di sollevarsi non si sa come, mentre i palestinesi si avviano divisi e lacerati verso un qualche regime di autonomia, risultato di un discutibilissimo accordo che nasce da lontano, proprio da quel disegno che con la guerra ha voluto distruggere il sogno di decine di migliaia di libanesi e palestinesi.
Sono stati anni pienamente vissuti, con le bombe, i cannoni e... tante vittime innocenti. Ma anche con la speranza di svegliarsi la mattina con una buona notizia che proveniva dal "fronte", ascoltando la radio e divorando i giornali.
L'articolo, il commento, la foto, e, in sostanza, la parola erano il nostro pane quotidiano.
Ecco, per me, e per decine di migliaia come me, la vignetta di Naji era il caffè del mattino.
Naji era il vignettista di Assafir, quel quotidiano libanese, nato come foglio della sinistra libanese ed araba, ma che deve la sua fama grazie anche alla rubrica di Naji.
I lettori di Assafir leggevano il giornale al rovescio: ancora prima di gettare lo sguardo al titolo di apertura e all'editoriale del direttore, guardavano subito l'ultima pagina per godere la vignetta e capire da dove "tirava il vento".
La sua vignetta rappresentava la bussola per una nave che doveva affrontare il mare in tempesta. La nave palestinese sulla quale a Naji piaceva immaginare che fossero imbarcati tutti i poveri e i diseredati di questa terra.
Il suo era uno stile semplice, chiaro e pungente. La sua visione era ampia e globale ed il suo impegno era fermo e lineare.
Era un vignettista politico per eccellenza; partiva da un fatto particolare per affrontare il contesto del momento.
Emblematici i suoi personaggi; dal piccolo e pensieroso Handala che rispecchiava spesso gli umori di Naji alla zia Hanifa, la saggia donna che rappresentava la coscienza del popolo palestinese.
La sua era una vignetta-commento, una vignetta-messaggio. Ecco perchè parecchi di noi, in determinate giornate difficili, si accontentavano di leggere la vignetta o di farla raccontare dall'amico. Naji non disegnava solo per mestiere, ma perchè ci credeva. Credeva nella giustezza della causa. La terra era quasi sempre presente nei suoi disegni, perchè aveva un grandissimo richiamo su di lui; richiamava le sue radici, la sua storia.
Anche lui, come tanti altri palestinesi, è stato costretto ad abbandonare il paese natale, all'età di dieci anni. Disegnare per lui non era solo una passione, ma soprattutto un mezzo per esprimere i suoi pensieri, per gridare alto la sua rabbia contro chi ha usurpato la sua terra, contro l'occupazione israeliana. Era un personaggio errante per eccellenza; penna e carta sotto braccio, approdava dove annusava un po' di libertà per continuare a disegnare: Beirut, Kuwait, Beirut e poi Londra, il suo ultimo esilio dove e stato zittito per sempre. La sua sfida ai regimi era implacabile. "Quando non trovo piu un giornale che mi ospita, posso continuare a disegnare sulla spiaggia, sugli alberi o sul vento. Di lui, il grande poeta Mahmud Darwish ha scritto:
"Solo lui riesce a scegliere per poi distruggere e far esplodere.
Nessuno assomiglia a lui... però lui assomiglia a milioni di cuori perchè è semplice; è un evento straordinario..... di eccessiva umanita".
La democrazia era un suo tormento; le sue critiche non hanno risparmiato nemmeno la dirigenza palestinese. Negli anni successivi all'invasione irsraeliana del Libano (1982) e la cacciata dei palestinesi, Naji era diventato fortemente critico nei confronti della linea assunta dalla leadership dell Olp. La sua presenza in Kuwait, da dove aveva continuato a "lanciare" le sue vignette non era più tollerabile. Fu costretto quindi a prendere la via di Londra. Forse a Naji piacerebbe essere ricordato come il primo ad aver previsto lo scoppio dell'Intifada, esplosa pochi mesi dopo la sua scomparsa.

Tratto dal volume "No al silenziatore" di Saad Kiwan e Vauro Senesi




"L'arte è la mia professione, il mio impegno, il mio impiego è il mio hobby. Però non mi sento soddisfatto, spesso ho un profondo senso di frustrazione... Non credo di essere riuscito a comunicare ai miei lettori, attraverso questo linguaggio figurativo, le mie preoccupazioni.
Sarà perchè le inquietudini che mi tormentano sono tante?!... Quando disegno, riesco a ritrovare un certo equilibrio interiore. Per questo il disegno mi consola ma contemporaneamente mi procura non poche sofferenze... Rispetto agli altri mi ritengo fortunato, perchè almeno, attraverso le vignette, riesco a scaricare tutte le mie angosce. 
Gli altri... la maggior parte della gente, non ha neppure questo, loro assistono alle ingiustizie, ingoiano tutti i veleni... e muoiono dalla rabbia e dal senso di impotenza! Spesso, tutto ciò che ruota attorno all'arte è circoscritto ad un ceto privilegiato e selezionato di interlocutori.
Per me, invece, l'arte dev'essere di tutti e per tutti... Così ho scoperto la caricatura... come un canale di comunicazione... come un linguaggio comune fra me e la mia gente. La mia realtà... la loro realtà... la realtà che ci fa soffrire e sempre la stessa, per questo il nostro linguaggio deve esser
e semplice, senza ambiguità... deve stimolare la critica, l'autocritica, e suggerirci ciò che occorre fare.
Per questo, nelle mie vignette, non c'è molto spazio per leggere... Meno cose scritte, impatto più immediato. Infatti, se ci guardiamo attorno, ci viene voglia di urlare con tutte le nostre forze... a questo mirano le mie vignette... alla "MOBILITAZIONE!!" (liberamente tratto da un'intervista rilasciata da Naji Al-Ali al quotidiano "Annida'" del 4/7/'84).
La semplicità e la chiarezza hanno caratterizzato tutte le opere di Naji Al-Ali. Con estrema fluidità e senza ambiguità, riesce a comunicare i suoi messaggi ai suoi interlocutori e lettori: i poveri e gli oppressi. Addirittura, molte delle sue vignette sono senza parole. Tutto questo è stato possibile poiché ha sempre attinto dalla realtà in cui vive, come qualsiasi altro cittadino arabo, l'ingiustizia e la repressione. Con i suoi interlocutori è riuscito a creare una comunicazione immediata, scoprendo un linguaggio comune, fatto di pochi simboli:

"I miei personaggi sono pochi, il ricco e il povero, l'oppressore e gli oppressi... e non mi sembra che la realtà si discosti molto da questo".

Tutti i protagonisti "strategici", che compaiono pressoché regolarmente nelle sue vignette, richiamano sempre questo conflitto; dal piccolo bambino spettatore Handala all'uomo anziano e sofferente, dalla bellissima donna alla zia Hanife... altri simboli compaiono qua e la nelle sue vignette, a seconda dell'argomento, come, ad esempio, le piramidi, per indicare l'Egitto, o le palme, per indicare l'Iraq ed altri...
La povertà e la fame nei campi profughi palestinesi, come quelli del Libano, hanno spinto moltissimi giovani ad emigrare nei paesi petroliferi del Golfo, alla ricerca di un lavoro.
Li una buona parte di essi si e fatta "distrarre" dalla vita consumistica e del relativo benessere, fino al punto di trascurare, se non dimenticare, la propria identita e la propria causa. Naji Al-Ali non ha voluto che gli accadesse una cosa analoga... Non ha permesso che, né i problemi della vita quotidiana, né il falso abbaglio di un relativo benessere, prendessero il sopravvento su di lui. Per proteggersi da questo fantasma, ha inventato il bambino Handala (da "AI handala" un'erba selvatica, diffusissima in Medio Oriente, di sapore amaro e molto spinosa), la figura di eterno bambino, quasi onnipresente nelle sue vignette, simbolo di sincerita e di innocenza, che cosi si presenta: "Io sono Handala, vengo dal campo profughi di Ein Al-Hilwe, e giuro che rimarro fedele alla mia causa e al mio popolo" (dalla rivista "AI-Hurriyyeh", 20/8/'79). 
Handala e nato negli anni '60, quando Naji era in Kuwait.
Inizialmente, questo personaggio ha avuto, per Naji, un valore puramente personale. Era il "guardiano" che controllava Naji, proteggendo il suo spirito dai pericoli della dispersione e dell'ottundimento... Era anche la parte di sé che esprimeva le sue preoccupazioni e le sue angosce. Attraverso Handala, ha promesso alla sua gente di rimanere fedele alla causa, alla lotta di classe, nella quale si riconosceva. Handala, si può dire, era la coscienza dell'autore. 
Progressivamente Handala, non rappresentava più soltanto l'identità palestinese di Naji.
Insieme sono "cresciuti", hanno superato le frontiere. Così Handala è diventato il figlio dei poveri di tutti il mondo... E' andato in Vietnam; è stato in Africa. Ha superato la sua identità nazionale per diventare cosmopolita, per diventare la coscienza di tutti i poveri e gli oppressi. Di Handala, Naji disse:
"E la mia coscienza. In quanto povero non ha nulla da perdere. Non accetta compromessi, e un oppresso. Si, è un oppresso, però non gli mancano le forze per affrontare e combattere tutte le forme di oppressione" ("Al-Hurriyyeh", 20/8/'79). 
Appena nato, Handala aveva un ruolo molto attivo nelle vignette. Partecipava agli eventi: lan- ciava slogans, leggeva le poesie popolari, ripeteva proverbi. Combatteva con le armi "fino alla vittoria", insieme ai "fedayyn", così come in Vietnam. Ma, oltre a partecipare lui stesso in prima persona, incitava i suoi interlocutori ad intervenire, come si leggeva chiaramente nella fermezza e nella sincerita del suo volto, quando ancora ci permetteva di vederlo. Ben presto, pero, Handala si e voltato di spalle, cosicché non si poterono piu vedere le sfumature espressive del suo viso. Ciò ha coinciso con 1'inizio della decadenza e della regressione subita dal mondo arabo.
Gli anni '70, infatti, hanno segnato pesantemente la regione medio-orientale. Era solo 1'inizio della svendita e del tradimento. Nessuno dei governi arabi si opponeva piu alla volonta degli USA e dell'imperialismo occidentale. Nel 1979 venivano firmati gli accordi di "Camp David", e nel 1982 Israele invadeva il Libano. Gli anni '80 rivelavano la vera natura della leadership dell'OLP. Handala, non volendo rendersi complice di tali tradimenti, si e trasformato, da attivo e partecipe, in un semplice osservatore, mettendo in atto una sorta di protesta silenziosa.
Per meglio esprimere il suo dissenso, la sua delusione, la sua perplessita, si e vol- tato di spalle per sempre, incrociando le mani dietro la schiena.
Da quel momento, si e voltato pochissime volte per mostrarci il suo volto. Solo quando gli oppressi libanesi hanno combattuto, a fianco dei palestinesi, gli invasori israeliani nel 1982, Handala ha nuovamente imbracciato il mitra e alzato la bandiera nazionale.
Quando poi, i compromessi, le trattative, hanno sancito 1'espulsione di tutti i combattenti palestinesi dal Libano, Handala, come segno di grande rispetto, ha ricoperto di fiori la strada su cui passavano i fedayyn che lasciavano Beirut, per rientrare, successivamente nel ruolo abituale dell'osservatore taciturno. 
Prima di morire in Cisgiordania, a Gaza e a Gerusalemme, sarebbe scoppiata "l'INTIFADA" contro gli oppressori sionisti, Handala, insieme agli oppressi, insieme al popolo palestinese, ha cominciato a lanciare pietre contro 1'esercito israeliano. Purtroppo, né Handala né Naji Al-Ali hanno avuto la fortuna di vedere realizzata la loro previsione... Sono stati uccisi prima!
Accanto ad Handala, la coscienza dei popoli, non poteva mancare il "popolo". Non poteva mancare il palestinese, l'uomo palestinese che ha vissuto e vive sulla propria pelle la realta violenta d'Israele. Quest'uomo viveva coltivando la sua terra.
Questo contadino, come la stragrande maggioranza dei palestinesi, e stato costretto ad abbandonare la terra per diventare un profugo. Più povero di prima, e stato sbattuto in uno dei campi profughi sparsi nei diversi paesi arabi. Porta sulle proprie spalle, per eccellenza, il peso della diaspora. 
Rappresentato coi vestiti rattoppati, quest'uomo difende tenacemente e con grande dignita la propria storia, non accetta la realta, non si rassegna alla poverta alla quale e stato ridotto. Combatte, lotta per i propri diritti, e per i diritti di quelli come lui.
Quest'uomo, ridotto in miseria ma combattivo e dignitoso, non solo il palestinese, ma anche il sudanese, il maghrebi- no, il kuwaitiano... e divenuto quindi, il simbolo dell'arabo medio oppresso e misero. Naji Al-Ali non ha mai dimenticato il suo villaggio... la sua terra, sulla quale ha vissuto fino all'età di 11 anni. Questo ricordo, la speranza di farvi un giorno ritorno, spesso presente nelle sue vignette, e rappresentato nel personaggio della zia Hanife. Questa donna, cui Naji fa indossare il vestito tradizionale tipico di Asciagara, il suo villaggio appunto. Hanife simboleggia la maternita nel senso piu ampio del termine, con tutto cio che significa e rappresenta. 
E' sincera ed ha le idee molto chiare. Hanife, però, è sempre triste, tristi sono i suoi sguardi e tristi i suoi commenti. 
Di lei disse: "Hanife è una persona molto cara, rappresenta le mie radici, l'appartenenza al mio villaggio... Hanife possiede l'essenza della saggezza. Una saggezza sincera che si radica nella consapevolezza e per questo non può che essere triste. Una saggezza che sgorga dall'intimo di una donna piena di rabbia... Hanife è una donna forte, che non esita ad esprimere tutte le sue preoccupazioni ed angosce".
La Palestina, Beirut, Naji non ha mai nascosto il suo immenso amore per loro. La bellissima donna che incontriamo a volte nelle vignette, rispecchia il tipo di sentimento che nutre per la Palestina e per Beirut.
Cosciente della sua bellezza, questa donna non ha mai ceduto a nessuno dei suoi corteggiatori; dall'occupante usurpatore a tutti coloro che si riempivano la bocca (e le tasche!...) e quando questa donna piange, le sue lacrime si trasformano in bombe contro gli israeliani.
Naji riusciva a distinguere nettamente il bene dal male e riusciva nella grande confusione, ad identificare sempre i ruoli distinti dei carnefici e delle vittime. Dipingeva molto chiaramente il nemico. Certo, l'israeliano, il soldato israeliano, il colono israeliano, erano il nemico numero uno. Nelle sue vignette, il sionista veniva rappresentato spesso dal soldato, armato dalla testa ai piedi, con un naso affilato, per sottolineare la sua grande capacita "olfattiva" di organizzare le cospirazioni, l'occupazione, l'espansione, nonché la sua volonta di infliggere piu danni possibili al popolo palestinese e ai popoli arabi. Certe volte, a Naji, bastava la figura di questo soldato per simboleggiare Israele, altre volte gli disegnava addosso la stella di David (con tutto il rispetto al valore religioso che questa stella ha, ma non per come viene utilizzata dai sionisti). 
Non e difficile, comunque, riconoscere in alcuni suoi disegni addirittura lo stesso Begin o la celebre Golda Meyr. 
Talvolta, vi sono anche delle immagini o figure, in secondo piano, che simboleggiano, a seconda degli avvenimenti, gli interessi occidentali e americani.
Accanto a Israele, all'Occidente, agli USA, c'è anche un altro nemico... e oltretutto, per certi aspetti, più pericoloso... il nemico "interno" al mondo arabo. Purtroppo, molti, nel mondo arabo, per rimanere in sella, per non essere travolti dal proprio popolo, si sono finti difensori della causa araba, della Palestina. Tutti i regimi arabi, la borghesia palestinese, la borghesia araba, si sono ingrassati, hanno riempito le proprie tasche a scapito dei propri popoli, assoggettandosi alla servitu dell'Occidente e degli USA. Questi opportunismi sono ben rappresentati, da quelle figure opulente, obese, a dir poco abominevoli, che compaiono nelle sue vignette
Tratto dal volume "No al silenziatore" di Saad Kiwan e Vauro Senesi
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"Naji Al-Ali......il nostro pane quotidiano" dice Mahmud Darwish
La sua percezione è superiore al radar. Capta e riporta con grande chiarezza tutte le ingiustizie che avvengono o che stanno per avvenire.
E' il grande evento e la tragica esperienza;
è un palestinese generoso di cuore;
è un palestinese che non concepisce i confini;
è un palestinese che non esita ad urlare contro le ingiustizie;
è un palestinese ferito da mille pugnalate, che ha, dentro di se, i campi profughi.

Lui ha sposato la giusta via. Ha parlato al mondo intero a nome dei semplici e per i semplici, infondendo la vita, con una matita, ad un foglio di carta.
E' diventato così il presente e il futuro di tutti.

Palestina
Regimi Arabi
Questi sono solo alcuni dei disegni/vignette/fumetti di Naji Al-Ali, chi fosse interessat@ alla sua opera può trovarla nel testo:

"Naji Al-Ali - No al silenziatore"
Prefazione di Sad Kiwan
Introduzione di Vauro Senesi"
- TraccEdizioni -


Links di riferimento

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Links
[Sabra e Chatila massacre]
http://www.tmcrew.org/int/palestina/index.htm
http://www.tmcrew.org/int/palestina/najialali/index.htm